La via del successo

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Pensare di poter raggiungere il successo è per alcuni di noi controverso, concederci di arrivare allo scopo per cui abbiamo tanto lavorato (sia esso personale o professionale), a volte non è così scontato, desiderare il successo per alcuni è un tabù.

 

Per avvicinarci alla meta bisogna porsi a distanza dai condizionamenti e dai pensieri negativi di auto-sabotaggio, che spesso risuonano dentro di noi, i “non riesco”, “non posso”, “non sono abbastanza bravo”.
Allontanarci da quegli atteggiamenti pessimistici, che ci frenano, che ci fanno cercare ciò che non va, anche in un semplice contrattempo.
Allontanarci anche dalle esperienze negative del passato, che altrimenti diventano insormontabili e insolubili e ci fanno pensare di non meritare tanto.
Ciò che è passato, non torna più, siamo d’accordo;
ciò che c’è oggi, invece, è presente qui, davanti a noi, e concentrandoci possiamo dare il meglio di noi: la nostra attenzione e la nostra cura, fondamentali per scegliere il nostro percorso di vita, per comprendere in quale direzione vogliamo andare e cosa vogliamo diventare.
Osserviamo allora i nostri punti di forza, mettiamo in evidenza le nostre qualità e ricordiamoci di darci una bella pacca sulla spalla, dicendoci che ce la faremo, che siamo molto bravi in quella particolare cosa, che a noi riesce molto bene ciò che intraprendiamo.

Perdoniamoci per gli errori compiuti e pensiamo che senza quegli errori non avremmo imparato quel qualcosa in più, che ora sappiamo di noi, che ci aiuta a raddrizzare la mira verso la destinazione scelta.

 

Gli errori aiutano a crescere, a trovare soluzioni, aguzzare l’ingegno, a confrontarci con noi stessi e con gli altri, a capire quali siano i nostri limiti, a intraprendere nuove strade e a gestire le emozioni.
Impariamo ad guardare ciò che siamo e che facciamo con maggiore benevolenza, volgiamo su di noi uno sguardo di amore, dedichiamoci parole di apprezzamento e pensiamo a noi stessi come a persone degne di amore, di attenzione e di cura, i nostri soprattutto,
e concediamoci finalmente di intraprendere la via del successo a passi decisi.

 

5 atti casuali di gentilezza

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Leggendo degli articoli di psicologia positiva riguardo agli effetti della gentilezza e dell’altruismo sul livello di felicità delle persone, ho appreso che essere gentili nella propria vita, ci rende più amabili ed attraenti agli occhi degli altri, ci dà l’opportunità di essere in contatto con altre persone in maniera più profonda, di ricevere gentilezza in cambio, di sentirci in contatto con un bene più grande di noi e di avere di conseguenza uno stato di benessere generale maggiore.

Secondo una ricerca di Sonja Lyubomirsky (Professoressa dell’Università di Riverside, California) inserire all’interno della propria routine per almeno un giorno alla settimana, cinque atti di gentilezza verso gli altri, dà immediata soddisfazione.
Questa pratica viene chiamata “atti casuali di gentilezza”.

Questi gesti possono riguardare aiutare qualcuno che ha bisogno, sia un conoscente, un familiare, o anche uno sconosciuto, può trattarsi di piccole o grandi cose, come preparare una torta per un amico, scrivere un commento carino sulla pagina di qualcuno, donare il sangue, cedere il posto a qualcuno sull’autobus, lasciar parlare il nostro interlocutore senza interromperlo, donare un vecchio capo di vestiario, quando ne acquistiamo uno nuovo, abbracciare un amico/a, mettere via il cellulare e prestare attenzione alla famiglia, chiamare un amico/a che non si sente da tempo, aiutare una mamma con il suo passeggino…

E’ importante che non si tratti dello stesso gesto che si ripete, altrimenti questo perderà di forza e che sia destinato a diverse persone in diverse modalità ed intensità, ma che i cinque gesti avvengano tutti nello stesso giorno.

E’ utile inoltre prendere nota dei gesti compiuti, di come ci siamo sentiti nel compierli e se abbiamo avuto un impatto particolare.

Io ho deciso di metterlo in pratica, individuando un giorno della settimana in cui sono maggiormente disponibile, raccogliendo idee sui 5 gesti da compiere e annotando i contenuti una volta realizzati per verificarne gli effetti, quindi inserirli nella mia routine, per sperimentare un maggiore benessere.
Provate anche voi?

Come costruire la nostra felicità

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Dal 2012 l’ONU ha istituito la Giornata mondiale della felicità, che si tiene il 20 marzo e ha chiesto ai governi di includere nei loro obiettivi la felicità ed il benessere di tutte le persone. A partire da quel momento ogni anno viene pubblicato il World Happiness Report, quello del 2018, reso pubblico un paio di giorni fa, che vede di nuovo i paesi scandinavi nella top ten, con al primo posto la Finlandia.
Il vertice di questa classifica è rimasto pressoché invariato negli ultimi due anni.

I principali paesi tendono ad avere valori elevati nelle sei variabili chiave individuate per definire il benessere:  reddito, speranza di vita in buona salute, sostegno sociale, libertà, fiducia e generosità.

La felicità sociale va di pari passo con quella individuale e viene quindi spontaneo chiedersi come si faccia a costruire la felicità nel nostro piccolo.

Qual è un obiettivo realistico che ci permette di sperimentarla nella nostra vita?

Secondo studi pubblicati recentemente su Emotion, ricercare la felicità non significa imporsi l’obiettivo irrealistico di provare emozioni positive per la maggior parte del tempo e godere in ogni momento.

Vivere una vita felice non significa sforzarsi di provare gioia, contentezza, gratitudine, pace (o qualsiasi altra emozione positiva) in ogni secondo della giornata.
Ciò non è realistico, perché la vita contiene inevitabilmente fastidi e delusioni.
Le emozioni negative che derivano da eventi di vita negativi sono naturali e ci aiutano a capire meglio noi stessi: forniscono informazioni vitali su ciò che apprezziamo e va bene per noi e su ciò di cui abbiamo bisogno di cambiare nella nostra vita.
Ad esempio, provare un’ondata di ansia per la propria salute fisica può effettivamente motivare a migliorare le proprie abitudini alimentari.

Quindi non essere costantemente focalizzati sull’esser felici in ogni momento, può consentire di vivere esperienze positive essendone assorbiti completamente,
in quello che viene definito “flow”, un fenomento caratterizzato dalla mancanza di auto-consapevolezza, introdotto dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, studioso della felicità e della creatività.

Il flusso o “flow” è uno stato emotivo positivo in cui siamo completamente assorbiti in un’attività, ad un livello di concentrazione tale da dimenticare problemi e avversità,
raggiungendo un equilibrio tra le nostre capacità e abilità e le sfide che quell’esperienza ci propongono, provando soddisfazione e perdendo la cognizione del tempo.

Raggiungere la felicità non è semplice, infatti porsi delle aspettative troppo impegnative può comprometterne la buona riuscita, meglio darsi dei piccoli obiettivi inserendo delle attività piacevoli nella nostra routine per ricavare dei momenti di benessere che stimolino in noi emozioni positive e ci allenino anche a fare fronte a situazioni meno piacevoli con una disposizione d’animo più positiva, che ci consenta di filtrare ciò che di buono ci può essere per sollevarci il morale, pur continuando a vedere il lato meno piacevole.

Smartphone di famiglia

Nelle ultime settimane ho sperimentato chiaramente la presenza di un’adolescente in casa:
sguardi assenti, brandelli di conversazioni, risposte a monosillabi, porte chiuse, lunghe permanenze in bagno, litigi con il fratello minore, cambi di umore repentini e l’immancabile smartphone in mano.smartphone
Ero già pronta per l’avventuroso percorso “mamma di adolescente versione 2018”, quando qualcosa ha improvvisamente cambiato la situazione: un richiamo sul registro elettronico per l’uso del telefonino in classe, seguito dalla decisione di noi genitori di requisirlo per una settimana.
All’inizio ci aspettavamo proteste e ribellione, ma nessuna reazione sul momento.
Il secondo giorno senza smartphone sono stata accolta con grandi sorrisi e saluti al rientro a casa e tante chiacchiere e, con mia sorpresa, mi sono resa conta che mia figlia era ancora disponibile a condividere quello che le accadeva con i suoi familiari!
…E ancora nessuna lamentela per l’assenza del telefonino.
Il terzo giorno, dopo un pomeriggio di compiti insieme, merenda e chiacchiere, mi confessa di essere felice, perché ha riacquistato il suo tempo e ha la mente libera.
Non utilizzare il telefonino le permette di fare cose che non faceva più, lavori di bricolage, chiacchierare con me o con un’amica utilizzando il telefono fisso, passare del tempo con suo fratello e soprattutto concentrarsi sullo studio senza interruzioni continue!
Il quarto giorno il suo umore è di nuovo quello di sempre, è sorridente, entusiasta, presente, non avere il telefonino non la fa sentire isolata, ma più in contatto con le persone che le sono intorno ed anche con i suoi amici con i quali si incontra dal vivo.
Questo episodio mi ha fatto capire che quelli che avevo acquisito come segnali di un processo fisiologico erano invece segni di un iniziale isolamento.
Io sono favorevole alle innovazioni e al progresso e anch’io utilizzo questi strumenti, ma come sempre ci vuole equilibrio.
Per questo motivo da questa settimana, in casa nostra, ci sono nuove regole, abbiamo deciso di prestare maggiore attenzione all’utilizzo di tablet, smartphone, tv ecc.
Vogliamo restare vigili per poter cogliere segnali come quelli già osservati e impiegare il tempo in maniera costruttiva nelle nostre relazioni, invece che sprecare ore in attività poco utili.
Scegliamo di restare in contatto con le persone, di parlare guardandoci negli occhi e di comunicare con tutti i mezzi a nostra disposizione… anche con un bell’abbraccio.

Espandere i propri orizzonti con il counseling

Avete fatto caso a cosa accade quando presi da pensieri e preoccupazioni ci concentriamo solo su noi stessi e su quel determinato problema da risolvere? I pensieri si affollano intorno a quel tema che torna più volte durante il giorno (a volte anche la notte!) e tendiamo ad isolarci.

Perdiamo il contatto con gli altri, diventiamo meno sensibili alla loro presenza, ai loro bisogni, ma anche e soprattutto al loro preziosissimo apporto nel vedere la situazione da un’altra prospettiva, nel trovare una via d’uscita al nostro stato d’animo.

L’auto-isolamento spegne l’empatia e la sensibilità, l’orizzonte si restringe e i problemi si ingigantiscono.

Se ci soffermiamo di più su chi ci sta intorno il nostro mondo si espande, i problemi sembrano più piccoli e il nostro umore è più alto con effetti benefici su di noi  e su chi ci sta intorno.

Nel contatto e nella condivisione con gli altri la nostra conoscenza del mondo e soprattutto di noi stessi si amplifica.

Un percorso di counseling puó aiutarci in questo delicato passaggio, aiuta ad aprirci a noi stessi e agli altri, a vedere con uno sguardo nuovo le cose, ci dà la possibilità di espandere i nostri orizzonti, in uno spazio sicuro e protetto.

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